Nei centri storici delle città d'arte come Firenze, vi sono giusti vincoli che tendono a salvaguardare l'originalità degli esercizi commerciali. Tuttavia nessun obbligo vi è per quanto riguarda gli operatori, tanto che i negozi sono sempre più spesso gestiti da stranieri. Se parliamo di pelletteria o altri tipi di manufatti magari poco male, ma il dubbio ci assale quando, entrando in una delle numerose trattorie che imperversano il centro storico e che ostentano all'esterno la loro tipicità con menù della tradizione locale, scopriamo che di camerieri e cuochi italiani, salvo poche eccezioni, non v'è ombra: il cingalese è la lingua prediletta, con divagazioni nord africane davanti al forno e accenti dell'est in sala.
Se chiedi il motivo al gestore, talvolta italiano, questi non fa altro che allargare le braccia e, scuotendo la testa, affermare che i giovani italiani non fanno certi lavori. Ma come, con tanti ragazzi che si iscrivono alle scuole alberghiere, nessuno che fa la professione? Certo, in tanti sono abbagliati dal successo mediatico di chef famosi, salvo poi scontrarsi con la dura realtà di 60 ore di lavoro settimanali con turni che ti cambiano vita ed amicizie e molti lasciano, ma molti continuano e magari vanno anche all'estero, diventano migranti economici sconfessando le affermazioni di quel gestore che asseriva essere i nostri giovani svogliati e poco motivati.
Quale è il motivo che può portare un giovane a lasciare il suo Paese, amici e famiglia, per poi fare lo stesso mestiere e le stesse ore di lavoro massacranti? E che dire di quei cuochi o barman che si imbarcano trascorrendo la maggior parte dell'anno in mare lavorando senza pause? Il gestore parlava di svogliati e demotivati, non di coglioni o "bischeri" come si ama dire a Firenze! Quindi se i nostri giovani non son bischeri e dimostrano all'estero di poter sopportare certi carichi di lavoro, il motivo è altro. Soldi! diremo tutti in coro, poiché gli stipendi italiani sono i più bassi d'Europa, di quella parte almeno che l'ha fondata, senza pensare poi a Svizzera e USA o ai paradisi fiscali. No, neppure qui sta tutta la verità, in Belgio e Francia per esempio, non è che si guadagni tanto di più e negli altri posti la vita è più cara ed il potere d'acquisto se pure leggermente favorevole, spesso si perde per le maggiori spese di chi vive lontano dalla famiglia e paga anche un affitto.
Il contratto di lavoro italiano del turismo non è poi tanto male; non diventi ricco, ma vivi dignitosamente, con un buon stipendio, la quattordicesima e tanti straordinari, perché ........... avevamo detto che si lavora 60 ore a settimana e quindi 20 sono di straordinario, molte festive ed anche notturne. Ecco allora che un commis di cucina, il livello più basso per chi si avvicina alla professione di cuoco, dagli attuali mille euro o poco più, arriverebbe con gli straordinari e festivi, tranquillamente ai 1500 netti al mese od in alternativa, a raddoppiare le ferie annue! Certo, questo con gli straordinari. Il problema è che in Italia, non solo non pagano gli straordinari, ma spesso non si fanno neppure i contratti e qualora anche si stabilisce un rapporto di lavoro, se non lo si fa a nero, spesso lo si fa a livelli inferiori al ruolo effettivamente svolto in cucina, tanto che non di rado potremmo trovare un lavapiatti a svolgere le mansioni di un cuoco di secondo livello. Addirittura, capita in strutture dove si svolge contestualmente anche un'attività agricola, che il personale di cucina sia inquadrato come bracciante agricolo, ruolo che ovviamente conviene economicamente al solo datore di lavoro.
Quindi, tornando al tema iniziale, abbiamo scambiato l'originalità della facciata per quella del contenuto; abbiamo salvato la forma ma perso la sostanza, nel vero senso della parola, perché vendiamo un prodotto contraffatto, un prodotto i cui segreti, le cui particolarità, si sono tramandate da generazione in generazione e spesso con avida discrezione tramite ricette malamente manoscritte ma custodite come reliquie.
La cucina tradizionale o la si fa con i prodotti e gli uomini della tradizione, o la non si fa! Il sugo, il peposo, la ribollita se non lo spaghetto al pomodoro ed il pollo arrosto, se devono rappresentare la fiorentinità, devono essere il risultato di prodotti e lavori di qualità. Il pollo non allevato a terra, il pomodoro e lo spaghetto cinese, il sugo di ragù cotto in trenta minuti, il tutto condito con olio che di extravergine ha solo il nome e di italiano l'imbottigliamento, prodotti di infimo livello e provenienza, lavorati da chi non ha mai visto un sottovuoto se non un abbattitore e non conosce, per istruzione, educazione e provenienza geografica, i più elementari rischi di contaminazione alimentare, non solo non rappresentano la tradizione enogastronomica fiorentina, ma la deturpano agli occhi ed al palato degli avventori e quindi del mondo.
Un falso esercizio storico, alla stregua di una borsa od un orologio falso, è fonte di degrado e disordine sociale e pertanto, ho grossi dubbi sull'effettivo vantaggio di mantenere l'insegna di una trattoria là dove il prodotto generato è inferiore a quello di un kebab o di un Mc Donald: o la tradizione la si rispetta oltre che nella forma anche nel contenuto, oppure meglio lasciare il campo alla globalizzazione e che la fiorentinità resti una nicchia per pochi, così come di fatto lo è già ora.