tanto di cappello

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lunedì 31 dicembre 2018

Gamberi in crosta nell'attesa dell'anno nuovo - shrimp in crust



 Facile come tutte le nostre ricette, elementari ma mai banali, vuole essere un consiglio dell'ultimo momento per uno stuzzichino aspettando mezzanotte.


Ingredienti principali, manco a dirlo, gamberi e pasta frolla; il tempo dieci minuti a prepararli se usiamo gamberi già sgusciati e pasta già pronta, ed altrettanti di forno.
 Se acquistiamo i gamberi da pulire, come nel nostro caso, togliamo testa e carapace lasciando la coda e mettiamoli in infusione alcuni minuti con olio, limone e sale. Stendiamo quindi la pasta e tagliamola a strisce di un centimetro circa, tante quanto sono i gamberi
A questo punto non resta che avvolgere ogni gambero con la pasta; possiamo sia coprilo totalmente che lasciare spazi nella spirale come abbiamo fatto noi per dare più spazio alla carne del crostaceo, rispetto alla pasta. Spennelliamo poi con un tuorlo d'uovo e, se vi fa piacere, poniamo sui gamberi dei semi di sesamo del colore desiderato.
 Già acceso il forno, sarà adesso a 190° e quindi possiamo infornare i nostri gamberi e lasciarli per una decina di minuti o comunque il tempo necessario a far prendere di colore la pasta.
Il crostaceo sarà pronto in brevissimo tempo e potrà essere impiattato da solo o meglio accompagnato con delle foglie di insalata, anche per creare un contrasto di colori.

Non resta adesso che mangiare e gustare la croccantezza della pasta contrapporsi con la morbidezza del gambero.

Buon fine anno!!

venerdì 28 dicembre 2018

Pecora in umido o meglio, pehora alla sammorese - ricette vernacolari

Buhaioli c'è le paste!! Si, perchè la pehora la si cucina dalle nostre parti, particolarmente in quel di Campi.  Anche questo l'era un piatto poero e ancora un costa tanto.
Oh nini, ma la pehora alla sammorese un l'ho mai sentita dire, vu direte voi! Bravi, ora un vu lo diche più. Anche a Sammoro ci sa la nostra pehora, o perlomeno la mia, voi fate come vi pare, tanto la pehora l'è bona in tutti i modi, anche se la mì moglie non la pensa allo stesso modo. Ricordo quando trentanni fa, s'andava da ì Gabery (o Gaveri?) a Sant'Angelo a Lecore, la sentia le pehora da tutte le parti e ..... gliera vero, icchè tu chiedei tu chiedei c'era sempre il sapore di pehora.
La mi pehora, l'è frutto d'un errore e l'è un misto fra quella sarda e quella campigiana. Quella campigiana, l'è bona e facile, e di ricette vu ne poteche troare un monte; quella sarda un lo so come l'è, perchè gliò proato a falla e la m'è venuha dura; un poteo mica buttalla via! L'ho rifatta e l'è venuha meglio di quella campigiana. LA PEhORA DI SAMMORO
Ho preso un coscio di pehora e l'ho disossato, togliendo attentamente più grasso possibile, perchè quello di pehora, a differenza della maggior parte dei grassi, e fa un pò schifo. Ripulita tutta, l'ho tagliata a tocchi e messa a marinare in una teglia insieme a tutto icchè vu volehe, come in foto, con un pò di vino nero, non tanto perchè il vino gl'è bono da bere; se poi v'usahe ì vino di Lecore, vu poteche abbondare, perchè quello fa schifo da sempre, è un lo dico io ma lo dicea già nel 1600 Francesco Redi che in una sua opera dichiarò: "Accusato, tormentato, condannato sia colui, che in pian di Lècore prim'osò piantar le viti" Dopo questa breve ma doverosa divagazione su ì vino della nostra piana, torniamo alle pehore che ivi pascolavano. Si dicea che si fa marinare il tutto per qualche ora; gli amanti della precisione direbbero dodici, ma l'è una consuetudine, vu lo metteche a marinare e v'andache a letto con la sposa o lo sposo, a seconda di chi legge o dei vostri gusti; il giorno dopo vu prendeche la la pecora con la su verdurina e le su spezie e vu la metteche in forno, SENZA BUTTARE I' LIQUIDO DI MARINATURA, con il quale di tanto in tanto vu bagnache l'animale salato e pepato a piacere; il sale gliè meglio mettilo ora, aimmeno e tira fori tutto il liquido dalla ciccia. Quando la carne la c'ha un bel colore scuro e l'è ritiraha bene, la si lea da ì forno e la si mette in un tegame indoe con un filo d'olio  (l'unico) s'era messo a cocere della passata di pomodoro; mescolato tutto insieme, anche la verdura che l'accompagnaa la carne in tutto ì su viaggio da prima che v'andassi con la sposa; si fa stufare in maniera tale che la ciccia, prima indurita, senza perdere il suo bel colore scuro d'arrosto, la s'ammorbidisce come una cioccia, se non proprio da vulcano, possibilmente nemmeno da bustina da tè e comunque, aimmen'ora vu poteche scegliere e questa di sotto l'è la tabella.
Dopo questa parentesi di anatomia vi consiglio, se vu voleche fare ì fini, di fare almeno la stufatura nì coccio perchè anche l'occhio vuol la su parte ed in effetti il coccio l'è il coccio (ma solo quello bono).
Quando dunque la carne sarà della consistenza di vostro gusto, la si può impiattare, ma no da sammoresi! Un paio di pezzi per piatto, anche perchè l'opera, alla fine, e la unn'è costaha poco, sennò t'ha' fatto i' guadagno d'i' Lica che lo metteva nel culo alla moglie per serbare la fica!

sabato 22 dicembre 2018

Ristorante Sabatini Firenze - restaurant Sabatini in Florence - レストランサバティーニフィレンツェ - Flambè


FRAMMENTI DI STORIA
Per almeno tre generazioni, Sabatini ha rappresentato il punto di riferimento della ristorazione fiorentina nel mondo. Tutt'oggi nella città gigliata quando si vuol sostenere una tesi in contrapposizione al nostro interlocutore, viene spontaneo lanciare la sfida "se vinci ti pago la cena da Sabatini". Ne fa citazione anche il giornalista Bruno Vespa nel suo libro "Italiani Voltagabbana", quando nel ricordare la spartizione delle candidature per le politiche 2013, il bersaniano Errani sfidò il renziano Lotti "se lo prendete (il seggio ndr), ti pago una bistecca al ristorante Sabatini di Firenze. Vanna Iorio, la candidata in questione, prese il seggio ed Errani pagò la scommessa a Lotti."



La storia del ristorante parte dal lontanissimo 1914, in via Valfonda. Pochi anni dopo, con la costruzione dell'attuale stazione ferroviaria, il ristorante fu costretto a trasferirsi nella più centrale via Panzani, dove ha la sede attuale, in un edificio che era stato ridisegnato nel 1860. E' qui che il locale del "sor Vincenzo" con le sue sale per un totale di 1200 mq, avrà il suo sviluppo e notorietà.
Nel 1955 la ristrutturazione del locale. L'architetto Vittorio Stigler attinge per gli arredi interni, ad una chiesa sconsacrata del '500; sistemati a regola d'arte, sono infatti visibili ed in perfette condizioni di manutenzione, il Pulpito, tutte le panche riadattate a divanetti e le colonne portanti con le relative travi che costituivano la navata della chiesa. Sabatini è l'unico ristorante d'Italia completamente vincolato e tutelato dalle Belle Arti. Sempre di Stigler l'idea della chiusura del giardino d'inverno la cui parte rimasta esterna, fa bella mostra di se in ogni foto del locale.
Negli anni '60 Sabatini è già icona della ristorazione, lo dimostra il fatto che la sua presenza è citata sul volume "Lettere a Bruna". E' il 12 settembre 1967 quando Ungaretti dall'hotel dei Congressi di Roma scrive a Bruna Bianco di un'esperienza vissuta a Firenze: "Non so come sia avvenuto. Ci sono stato milioni di volte, ma ieri non ho saputo, girando intorno a Piazza della Repubblica, e ce ne sono cento, trovare una trattoria dove si potesse mangiare a modo. Dopo tanto girare attorno allo stesso punto, siamo capitati da un Sabatini che è l'omonimo d'un Sabatini che fa venire l'acquolina in bocca, e abbiamo mangiato porcherie che non erano ancora state digerite la sera, arrivati a Roma." Ovviamente, il Sabatini che "fa venire l'acquolina in bocca" è quello di via Panzani, mentre non è noto quale sia il ristorante dove aveva pranzato Ungaretti.
Due anni dopo, una giovane Annie Feolde giunge a Firenze dove trova lavoro presso il ristorante John Bull, a poca distanza da Sabatini. E' il 1969 e la guida Michelin, assegnerà per la prima volta a ristoranti italiani due stelle; il ristorante Sabatini è ufficialmente ai vertici della ristorazione italiana e mondiale. E' evidente come schiere di operatori cerchino di entrare a far parte dello staff; fra questi c'è un giovane maitre,  Giorgio Pinchiorri. Il maitre non riuscirà nel suo intento ma nel 1970 proprio frequentando il John Bull, conoscerà Annie Feolde ed insieme daranno vita all' Enoteca Pinchiorri attuale icona della ristorazione mondiale. (tratto dal libro "Il gusto delle donne: il mestiere della tavola in venti storie al femminile")
Sabatini è al culmine del successo e nel 1978 la famiglia cede la gestione ad un gruppo di imprenditori che apriranno tre ristoranti gemelli in Giappone. All'epoca in Italia erano pochi i ristoranti che potevano competere con Sabatini: la Sacrestia a Napoli, Savini a Milano, il Charleston a Palermo il ristorante dell'Hotel Baglioni a Venezia, del Grand Hotel di Milano, del Principe di Piemonte a Torino.  
Tuttavia con il passare degli anni cambia la ristorazione mondiale, la Nouvelle cuisine irrompe dalla Francia e lascia poco spazio a piatti di abbondanti tagliatelle e ribollite, che saranno da ora in poi, appannaggio delle sole trattorie. La ristorazione  di alto livello diventa gourmet e cambia inoltre la filosofia anche all'interno degli alberghi di lusso, dove il ristorante non è più un accessorio ma diventa un elemento fondamentale per attirare la clientela del'èlite.
Al Sabatini si punta sulla tradizione, ma le risposte non sono più quelle di un tempo anche se nel gennaio 2006,  l'allora coordinatore regionale di Forza Italia, Denis Verdini sceglierà il ristorante di via Panzani per la cena che riunirà circa 120 imprenditori toscani intorno a Silvio Berlusconi. Consumare il menù servito dallo chef Rosario Santoro costerà 10.000 euro a persona. Da allora il ristorante, pur mantenendo intatte l'atmosfera e la raffinatezza del locale, sembrerà chiudersi in se stesso e ad una ristretta schiera di habitué.

Fra tradizione ed innovazione


Siamo alla scorsa primavera, quando la gestione di Sabatini passa ad un giovane imprenditore di origini albanesi ma laureatosi a Firenze presso la Cesare Alfieri, Julian Golemi. 
Già introdotto da anni nel mondo della ristorazione fiorentina e non solo (è proprietario della trattoria Il Paiolo in via del Corso). Julian è deciso nel voler riportare il locale ai fasti di un tempo! Per farlo si avvale di professionisti giovani ma già di consolidata esperienza. Quale direttore generale chiama Paolo Manoni  che ha già ricoperto il ruolo in vari ristoranti stellati (l'ultima esperienza proprio a Firenze presso La Bottega del Buon Caffè (1 stella Michelin); alla guida della brigata di cucina, da ottobre 2018 il non ancora trentenne Alessio Mori con esperienze maturate al fianco dei migliori chef  stellati (Valeria Piccini, Vito Mollica, Fulvio Pierangelini, Antonio Guida, Katia Maccari) in alberghi di lusso in Italia e all'estero. In sala e cucina,  contrariamente alla dilagante moda che vuole sempre più stranieri impegnati nella ristorazione anche fiorentina, il personale è italiano, a dimostrazione che la nuova gestione pur puntando sulla cucina gourmet, vuol restare ancorata alla tradizione mediterranea. Quale Sous Chef troviamo infatti il talentuoso Filippo Ristori, anche lui stesso ruolo presso la Bottega del Buon Caffè, Pastry Chef il giovanissimo Marco Piatti, classe 1991 ma con un curriculum eccellente presso il "Luogo di Aimo e Nadia", il Gallia Palace, la Posta Vecchia ed il ristorante "Pisacco" di Andrea Berton. Ai toscani, balzerà agli occhi del cv di Marco,  soprattutto il ruolo di responsabile della pasticceria svolto presso il ristorante "Romano" di Viareggio. Quali capo partita,  Alba Rizzo e Loardi Stefano, anch'essi giovanissimi ed anch'essi con un passato in ristoranti stellati. La sig.ra Francesca è l'unica rimasta in cucina della vecchia gestione.

La nostra esperienza


Entrare da Sabatini equivale ad attraversare più di un secolo di storia; nulla è improvvisato tutto stupisce ma niente è fatto per stupire. Tutti i fiorentini conoscono il nome di Sabatini, ma anche la sempre più esigente clientela straniera lo conosce, in patria, prima ancora di venire in Italia.



Ambiente oltremodo raffinato, si adatta perfettamente a cene di coppia e di affari; tuttavia il ristorante è dotato di sale normalmente chiuse ma in grado di ospitare eventi con centinaia di persone con menù personalizzati.








La cucina gourmet prevede un menù alla carta e due menù degustazione, mentre la tradizione è garantita da una carta dedicata alla cucina flambè, sembra l'unica rimasta in Europa.

Optiamo per il menù degustazione classico a 75 euro, che ci consentirà di gustare una maggior parte di portate, sia pure in formato ridotto rispetto alla normale carta.

Iniziamo come ormai di consueto, con una serie di  assaggi dello chef, il più delle volte si tratta di piccole entrée di prova che sono offerte nei ristoranti di alto livello all'inizio del pasto principale e/o fra le varie portate e che non sono in carta.
Il primo piatto, ci viene descritto come un Paff di lievito madre con caprino e caviale di nero di seppia; 

Insieme una cialda di polenta e polvere di salvia


 A seguire, Chips di semi di lino, maionese di limone arrostita.

Sgombro marinato, radici e uova di salmone
Grissini ed assaggi di pane che accompagnano un ottimo burro montato con aceto balsamico e sale
 




Quaglia farcita, chutney di pere, salsa al pan di ramerino














Capasanta, ristretto alla livornese, crosta di precorino, centrifuga di prezzemolo.






Olio evo toscano














Iniziamo con i primi:
Spaghettone alle acciughe marinate, crema di cime di rapa, crema all'aglio e colatura di alici

A seguire




Cappelletti di farina di castagne, ricotta e spinaci,lenticchie




I secondi iniziano con il maialino, bieta, mela glassata, fondo al pepe nero





A seguire un'altro piatto di mezzo: Foglie di shiso caramellate, polvere di nocciola, mascarpone e amarema


Come dessert un semifreddo al vinsanto, croccante di mandorla, chips di pera.











A chiudere, l'immancabile piccola pasticceria: 
panforte, cioccolatino al caramello salato, craquin con panna montata.
Il servizio è stato effettuato con cadenza puntuale e grande professionalità nello spiegare i piatti, che sono risultati tutti ottimi.
Ristorante Sabatini   Via Panzani 9A - 50123 Firenze - Ph: +39055282802 - Email: info@ristorantesabatini.it - P.IVA: 01476270481 -


giovedì 20 dicembre 2018

sabato 15 dicembre 2018

Parliamo di chef: Karime Lopez - Gucci Osteria Francescana, Firenze

Karime Lopez (foto estrapolata da internet) è la chef del ristorante che Gucci ha inaugurato ad inizio 2018 a Firenze, in P.zza della Signoria, ma è anche colei che la San Pellegrino ha indicato quale  miglior chef donna under 40 per il 2019.
Nata in Queretaro - Messico, fa parte di quella nutrita schiera di chef che hanno scoperto la passione per la cucina solamente in un secondo momento. Terminati gli studi superiori di scuola dell'arte, è  Parigi la città dove Karime capisce che il suo futuro è ai fornelli. Da li si trasferisce in Spagna dove muove i primi passi in cucina alternando studio e lavoro alla corte del tristellato Santi Santamaria. La Spagna tuttavia è solamente il punto di partenza di Karime Lopez, che continua il suo girovagare per ristoranti di tutto il mondo, con l'esperienza più significativa a Lima, presso il ristorante Central dello chef Virgilio Martinez, considerato uno dei più talentuosi al mondo. Durante la permanenza al Central dove raggiunge il ruolo di Sous Chef,  conosce il futuro marito, Takahiko Kondo, secondo di Massimo Bottura all'Osteria Francescana alla cui brigata Karime si aggrega. Il resto è storia recente; Gucci chiede collaborazione a Bottura per l'apertura di un punto di ristoro all'interno del suo museo posto a Firenze, in piazza della Signoria e lo chef modenese pone Karime Lopez alla guida della brigata di cucina. Gucci Osteria da Massimo Bottura  è il nome del locale dove la chef  ha la possibilità di esprimere tutto il bagaglio internazionale della sua ventennale esperienza fra le migliori cucine al mondo. I suoi piatti rappresentano un mix di  respiro internazionale, alternato a piatti della tradizione italiana, con evidente influenza del maestro Bottura. Per chi volesse provare, Gucci Osteria è aperta tutti i giorni sia a pranzo che a cena.

Nel filmato Karime Lopez con il marito e Davide Di Fabio, ai tempi dell'Osteria Francescana 

domenica 9 dicembre 2018

Parliamo di chef: Alessio Mori - Ristorante CAFFE' DELL'ORO (aggiornamento del 14/04/2019)

Nasce a Signa nel 1989, dove tuttora risiede e nei cui pressi ha mosso i primi passi, alternado alle lezioni dell'Istituto Buontalenti di Firenze, lavori part time o stagionali presso le cucine del Biagio Pignatta di Artimino e Villa Saulina di Lastra a Signa.

Diplomatosi nel 2007 sotto la guida del prof. Leonardo Romanelli https://www.leonardoromanelli.it/, viene chiamato per una sostituzione come commis a Villa la Vedetta il cui ristorante Onice, quell'anno si fregia di una stella Michelin.
Questa sia pur breve esperienza, segnerà il suo percorso professionale dalla cucina tradizionale a quella gourmet; entrerà infatti a far parte del team di pre-apertura del Four Seasons di Firenze https://www.fourseasons.com/florence/, sotto la guida di Vito Mollica con il quale, elemento più giovane della brigata, resterà per oltre un anno.

Attirato come tutti i giovani da nuove esperienze, lascia il Four Seasons ma resta nell'alta cucina delle catene d'albergo. Si sposta infatti in Belgio a Bruxelles, dove lavora presso il ristorante Bocconi dell'Hotel Amigo https://www.roccofortehotels.com/it/hotels-and-resorts/hotel-amigo/  che ha la consulenza di quel Fulvio Pierangelini che con il suo Gambero Rosso aveva raggiunto i vertici della cucina nazionale e mondiale.


La sua esperienza in terra belga termina nella primavera 2010 quando si sposta in Svizzera presso l'Hotel Le Mirador sul lago di Ginevra http://www.mirador.ch/ . Queste esperienze in terra di lingua e cultura francese, accrescono il suo bagaglio professionale. Nel frattempo conosce lo Chef Stefano Santo, da poco a Villa la Vedetta, che lo convince a tornare in Italia come suo collaboratore con la qualifica di capo partita. Alessio resterà a Villa la Vedetta per oltre un anno e, a suo dire, l'esperienza con Stefano Santo risulterà fondamentale per determinate carratteristiche che devono essere proprie di chi lavora in cucina: innovazione e applicazione, precisione e pulizia.  Sui giornali si vocifera che la proprietà sia in trattative con un magnate russo per la cessione della villa ed anche Stefano Santo lascerà Firenze dove farà rientro nel 2018 quale chef del Salviatino.
Alessio torna in riva destra dell'Arno ed approda al St. Regis, l'ex Grand Hotel ora completamente ristrutturato https://www.marriott.it/hotels/travel/flrxr-the-st-regis-florence/ . Alla guida della brigata di cucina c'è Michele Griglio con la consulenza di un'altra icona della ristorazione nazionale: Valeria Piccini.  Fra Marzo 2012 e novembre 2015, Alessio passerà due anni nello staff del St. Regis, intervallati da tre nuove esperienze: la prima nell'estate 2013 presso il Grand Hotel Villa Cora per passare poi alla stagione invernale a Verbier (Svizzera) presso il W Verbier e l'estate successiva a Porto Ercole presso le cucine del Hotel Pellicano condotte all'epoca da Antonio Guida ed insignite di due stelle Michelin.

L'esperienza è ormai tale che viene il momento di salire la scala gerarchica della brigata di cucina. Nel novembre 2015 Katia Maccari  , chef stellata del ristorante I Salotti di Chiusi, ha necessità di un sous chef che la affianchi per tutto il mese di dicembre a Milano, dove gestirà per le festività, le cucine del lussuoso Hotel Palazzo Parigi . L'esperienza risulterà positiva e la collaborazione con Katia Maccari viene prolungata per un anno, durante il quale non mancheranno esibizioni in varie manifestazioni.



E' il momento di ripartire, ancora destinazione Svizzera, ancora Verbier, ma questa volta Alessio approda al Relaii & Chateaux Chalet d'Adrien quale secondo di Mirto Marchesi, insignito di 1 stella Michelin e 17/20 Gault Millau.  Sarà una stagione intensa e di alto livello che porterà alla piena maturazione di Alessio: il gruppo Santa Margherita ha appena aperto un ristorante a Greve, Vitique e cerca persone giovani e qualificate per la sua gestione. Alessio con gli amici Dario Nenci e Riccardo Vivarelli decidono che è il momento di correre da soli. La scelta di imporre nel cuore del chianti fiorentino una cucina gourmet che non includa nella carta del menù la bistecca, non sembra cosa facile, invece il locale ha un sempre maggiore successo e chi si ferma una prima volta, poi ritorna a Vitique. Tuttavia per il signese Alessio Mori, Greve in Chianti è una soluzione logistica che lo obbliga ad un trasferimento giornaliero di 100 km, su strade densamente transitate; quando ad agosto 2018 giunge l'offerta della nuova gestione dello storico Ristorante Sabatini non può rinunciare. Il resto è storia attuale.

AGGIORNAMENTO DEL 14 APRILE 2019

Lo chef Alessio Mori nel marzo 2019 ha terminato il suo rapporto di lavoro presso Sabatini, passando alla guida del CAFFE' DELL'ORO , il ristorante del lussuoso Hotel Portrait del gruppo Ferragamo.




Cucina gourmet o cucina tradizionale?

Premesso che le generose porzioni da osteria non appartengono più, se mai le sono appartenute, all’alta cucina e che i maxi piatti di tagliatelle al ragù e frittata di cipolle di fantozziana memoria, con annessi bis e tris, non vengono più serviti manco nelle trattorie più sperdute, vediamo di sciogliere se possibile, il secolare dilemma  fra i sostenitori delle due cucine: la nouvelle cuisine e la cucina tradizionale.
Preferite un tradizionale spaghetto allo scoglio o  le linguine monograno Felicetti, crema di friggitelli, crudo di gambero rosso e chips d'aglio?   
Badate bene, non abbiamo chiesto quale dei due piatti è più buono, ma quale preferireste, perchè si sottintende che in entrambi i casi si utilizzino prodotti di prima qualità e cotti a "modino" in grado di soddisfare le nostre papille gustative.
Intanto diciamo subito che il termine Nouvelle cuisine non sembra più tanto amato dai nuovi chef, che preferiscono definire la loro solamente una cucina gourmet, ritenendo ormai superata la generazione che fu di Paul Bocuse e Gualtiero Marchesi; noi invece, che non siamo operatori della ristorazione, pur rispettosi di questo nel titolo, intendiamo continuare a chiamarla così, sia perchè ancora oggi è valido il decalogo della nouvelle cuisine, sia perchè il termine gourmet non è solo tipico dell'alta cucina, ma più generalmente si rifà all'eccellenza di un prodotto. Quindi a nostro modesto parere, sia la nouvelle cuisine che la cucina tradizionale, possono essere  gourmet, se gourmet sono i prodotti utilizzati e sapienti le mani e teste di coloro che li "maneggiano".
Vediamo quindi le caratteristiche delle due cucine.
Il termine cucina tradizionale è molto generico e non esiste una cucina tradizionale standardizzata; dipende ovviamente dal territorio di cui ne rappresenta la cultura, il clima, abitudini e professioni. Ogni piccolo borgo avrà quindi una sua cucina legata alla tradizione e non solo, ogni famiglia del piccolo borgo ha una sua cucina tradizionale. Oltretutto, si tratta spesso di piatti poveri, con ingredienti che cambiano in relazione alla disponibilità del giorno. Fare una cucina tradizionale oggi, significa standardizzare un piatto della tradizione utilizzando prodotti di prima qualità, a km 0 ed il più possibile simili a quelli dell'epoca, pur rispettando certe abitudini ai sapori ormai acquisiti nel tempo. Un grande chef di un recente passato, Fulvio Pierangelini, nella consulenza al lussuoso gruppo Rocco Forte Hotels (a Firenze il Savoy), propose quale menù della domenica al De Russie di Roma, le lasagne al forno ed il pollo arrosto con patate; Pierangelini,  per anni primo chef in Italia e12° al mondo nel 2008 (chiuderà il suo Gambero Rosso l'anno successivo), riteneva che quello fosse il pranzo della domenica delle famiglie italiane e quindi, al turista che viene nel nostro paese e vuole la cucina della tradizione, sono offerte lasagne e pollo arrosto, ovviamente da animali allevati e macellati con le modalità di un tempo, la pasta fatta in casa con uova e farina di prima qualità, così come il pomodoro. A proposito di pomodoro, mitica la sua lezione presso l'università di Parma  dove  Pierangelini parla degli spaghetti al pomodoro    

(di lato il nostro Alessio Mori, giovanissimo, alla corte di Fulvio Pierangelini)

E' evidente che Pierangelini, chiamato anche "il cuoco semplice", era ben più di questo, ma la sua filosofia rende a perfezione l'idea di come deve essere la cosiddetta cucina tradizionale. Ogni bravo cuoco, sa poi personalizzare con qualche trucco della nonna o di proprio gusto, il piatto della tradizione, da servire oggi non più nelle porzioni di un tempo, essendo notevolmente cambiate le abitudini di vita e con queste anche il necessario contributo di calorie.
E' proprio con questo spirito di un minor apporto di calorie e di piatti più leggeri e digeribili, che nacque la nouvelle cuisine: al bando i sughi e le salse pesanti, precedenza a prodotti freschi non conservati e cucinati con una particolare attenzione alla dietetica. Questo porta quindi ad una continua ricerca, ad una cucina sempre innovativa ed in continuo evolversi. Lo chef dell'odierna alta cucina abbraccia la filosofia che fu della nouvelle cuisine e che adesso, nella definizione tanto amata, ma ancor più arcaica, di chef gourmet, si distingue per essere in grado di fondere in un'unica sfera sensoriale, sapori, odori e colori. La preparazione dello chef dell'alta cucina è tale che, come l'esempio di Pierangelini, oltre ad essere tale, è in grado di praticare anche la cucina tradizionale, mentre non è l'inverso, dal momento in cui lo chef della tradizione avrà la stessa carta sia a venti che a sessanta anni e non necessita di applicarsi per innovazioni che richiedono uno studio continuo della materia, della sua manipolazione e presentazione. 

Quindi, non esiste possibilità di paragone fra cucina tradizionale e nouvelle cuisine, ops mi correggo, gourmet, trattandosi di due modi completamente diversi di approccio al cibo. Si può dire che ciascuno di noi dotato di un minimo di passione e di tempo, può cimentarsi nei piatti della tradizione, mentre per quelli dell'alta cucina, occorrono studio e strumentazioni tali che esulano dall'applicazione casalinga e hobbistica, pensionati esclusi 👴👵.  
In conclusione direi che la cucina tradizionale è per chi non ha tempo e voglia di cimentarsi ai fornelli, quella gourmet è per chi è alla ricerca di emozioni nuove.
Nel filmato a fianco, la chef Rosanna Marziale, una stella Michelin.